martedì 20 novembre 2018

ROVER SD1: DIECI ANNI DA REGINA

La Rover SD1 è stata prodotta dal 1976 al 1986.

Il marchio inglese Rover, oggi dormiente in qualche cassetto della Jaguar Land Rover, è apparso per la prima volta su un’automobile nel 1904. Sono famosi i suoi fuoristrada Land e Range Rover, un po’ meno le sue eleganti e potenti berline prodotte tra gli anni Cinquanta e Ottanta. Ad iniziare dalle serie P4, P5 e P6 per poi arrivare alla SD1 lanciata nel 1976. Una berlina, quest’ultima, che seguiva le tendenze stilistiche del momento, in particolare l’impostazione a due volumi con la coda tipo “fastback” dotata di portellone.


Una berlina sportiva, si direbbe oggi, realizzata dal designer David Bache che la rese assai originale soprattutto nella parte frontale. Qui la linea era decisamente aerodinamica e di completa rottura nei confronti delle ammiraglie Rover precedenti. Un frontale a cuneo con proiettori avvolgenti e la completa assenza della tradizionale griglia per il radiatore: una bassa feritoia correva lungo tutta larghezza del muso dividendo fari e cofano dal paraurti, e la “bocca” principale era quasi invisibile nella parte inferiore del paraurti.
Nonostante la linea non fosse del tutto inedita – altre berline di fascia alta a due volumi erano, ad esempio, le contemporanee Citroen CX (1974), Renault 30 (1975) e Lancia Gamma (1976) – la Rover SD1 si aggiudicò il premio Auto dell’Anno 1977. Il suo nome deriva dalla stessa sigla di progetto e indica il primo modello progettato dalla “Special Division”, dipartimento della British Leyland proprietaria del marchio Rover; la SD1 fu anche l’ultima vettura prodotta nello storico stabilimento di Solihull, prima del passaggio della Rover alla British Motor Corporation e dell’intera produzione a Longbridge e Cowley.
Per un posizionamento alto della sua nuova ammiraglia, Rover lanciò la SD1 con il già noto motore V8 da 3500 cc da 155 CV: unità di derivazione Buick dotata di monoblocco e testate in alluminio. Pochi mesi dopo, la gamma si allargò con le più accessibili sei cilindri 2,3 e 2,6 litri dotate di un nuovo motore in linea con basamento in ghisa; la 2.6 era, a livello di allestimento, quasi una 3500, mentre la 2,3 era molto più spartana e anche piuttosto lenta e assetata, tanto da non riscuotere molto successo.


Nell’autunno 1980 debuttò la versione Vanden Plas. Mostrava tutta una serie di dotazioni che, su una vettura di prestigio, non potevano più mancare: interni in pelle, aria condizionata, inserti in radica nell’abitacolo. Tutto di serie. Nel 1982, per il mercato italiano, arrivarono un leggero restyling e le nuove motorizzazioni “anti fisco” due litri benzina e 2.400 turbodiesel.
A livello estetico vennero introdotti lo spoiler anteriore, la calandra e i fari più ampi, i nuovi cerchi ruota, il lunotto ingrandito dotato di spazzola tergicristallo; internamente vennero aggiornati il volante a la strumentazione.
A dicembre dello stesso anno iniziò anche la commercializzazione di una delle due versioni più prestigiose della SD1: la sportiveggiante Vitesse con il V8 alimentato a iniezione da 192 CV e cambio manuale a cinque marce. Un’auto da 220 km/h e sette secondi nello 0-100 km/h.
Nel 1984 seguì l’altra gemma della corona: la Vanden Plas EFI (Electronic Fuel Injection) che combinava il lusso con le prestazioni in maniera mai raggiunta prima da questo modello regalandogli, assieme alla sorella Vitesse, ancora un paio d’anni di piena competitività sul mercato.


E così la “regina” SD1 rimase in produzione per dieci anni, fino al 1986, e ne vennero commercializzati oltre 300.000 esemplari. Ma oggi, in Italia, sono praticamente introvabili.



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